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capo e respingendo tutte le cure che Minna volle prodigargli.
Alla veglia angosciosa seguì una giornata di lotta per indurre Filippo a ricevere la visita del medico. Non voleva essere ammalato, non era stato ammalato mai: gli sembrava che la sua volontà dovesse dominare le insidie del morbo. Bello di una violenta bellezza che gli accentuava le linee del profilo accendendo bagliori di lampo nella lama gelida delle sue pupille, tendeva le braccia con un gesto di atleta quasi ad allontanare da sè l’invisibile nemico. Stello che non volle aspettare la sera per avere notizie lo trovò in questo stato.
— Egli pretende di alzarsi, — disse piano Minna — ma non può. Guardi quegli occhi!
Stello propose di mandare a chiamare il medico senz’altro, senza domandarlo a Filippo. Andò anzi lui stesso.
Il medico era assente per un consulto. Minna attese d’ora in ora, di minuto in minuto fino a notte, fino all’alba. All’alba accorse Stello di nuovo e mentre tutti e due in preda alla più grande agitazione decidevano di chiedere soccorso altrove, venne.