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stato del suo animo. Egli non la vedeva più cogli occhi di prima. Egli soffriva ora vicino a lei, pur sentendosi felice, di una sofferenza inesplicabile che raggiungeva quella sera il delirio. Comprese la necessità di allontanarsi; lo comprese senza potersi muovere, senza saper trovare una frase di congedo.
Fu ancora Minna che venne in suo aiuto porgendogli la mano; ma nel toccare quella di lui avvertì una tale sensazione insolita, un calore e un freddo insieme, una specie di brivido interno che la fece esclamare:
— Anche lei, mi pare, ha la febbre.
— No no — disse prontamente il giovane più confuso che mai.
Minna lo guardò, vide il suo pallore, vide il suo turbamento e tacque. La rivelazione fulminea la commosse. Compianse lui, compianse se stessa. Poi con voce maternamente soave, un po’ malinconica, con una lagrima occulta, forse, soggiunse nel modo il più semplice e pacato:
— Buona notte, signor Stello.
— Buona notte signora — rispose Stello colla gola stretta. — Domani il bimbo starà bene, vedrà, coraggio!