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La luce di una lampadina elettrica velata di seta celeste dava alla camera una intonazione di notte lunare che si prolungava fuori della finestra aperta sulla via in quell’ora silenziosa e muta. Faceva caldo, eppure in confronto della giornata che era stata caldissima la brezza serotina umida delle piante e delle acque circostanti infondeva un senso di benessere un po’ languido, di una dolcezza voluttuosa che prendendo Stello improvvisamente lo dominava a sua insaputa in quella camera dove una giovane donna aveva sparso i segreti più sottili della sua femminilità, dove ella stessa appariva nella penombra del torsello fluttuante e vaga quasi visione sorta da profondi desideri inconfessati.

Olezzi di giardini lontani, sorriso di cieli imprecisi, musiche, onde, armonie di colori, ritmi inafferrabili eppure deliziosi, tutto un tumulto di immagini si affacciava alla ridesta sensibilità di Stello.

Era come un tallire di germi che lungamente compressi sbocciavano alla prima vampata di sole; ed erano in realtà vampe brucianti che gli salivano al cervello da ogni