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Dopo quindici giorni di inquietudine dolorosa e di notti vegliate al capezzale del piccolo infermo Minna riposava sulla poltrona accanto al lettino; riposava, confortata dalle parole del medico e dall’andamento della malattia che seguiva il suo corso regolare.
Non dormiva però Minna; stava appena cogli occhi chiusi, colla testa appoggiata alla spalliera della poltrona, le belle braccia allentate sul grembo in una posa di abbandono e di acquietamento dove i suoi nervi tesi dall’ansia di quei giorni e dalla fatica di quelle notti si ritempravano in una soave morbidezza. Le sembrava di riposare in fondo a un’acqua tranquilla che la avvolgesse tutta di un velo dolcemente isolatore per cui nessuna delle pene consuete le molceva più il cuore fatto obblioso in quel torpore benefico.
Una voce nota la scosse. Era Stello che