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dolci serate estive si rovesciava nelle vie; da ogni casa le finestre si spalancavano come polmoni avidi di ossigeno: fanciulle vestite di bianco apparivano e sparivano sui balconi lanciando nella brezza molle che li fasciava di morbidi vapori i trilli argentini delle loro risa.
Il ponte delle Sirene balza improvvisamente sull’arco del cielo, così infuocato laggiù verso Porta Romana, subito sopraffatto da una sfilata di catapecchie nere decrepite, cadenti, con certi veroncelli coperti di assi dove i grossi sorci e tutti gli insetti brulicanti intorno al Naviglio scavarono una tana, dove strisciano le formiche, dove martella il tarlo, dove canta il grillo, dove il ragno tesse e la mosca depone le ova e la zanzara fischia e la piattola a notte fatta batte le scaglie sul legno marcio che si sbriciola a poco a poco.
Da molto tempo, Minna non rivedeva più quei luoghi. Venendo dai nuovi quartieri di Principe Umberto il contrasto doveva essere forte; le parve in realtà che quell’angolo della vecchia Milano sopravissuto alle trasformazioni di un secolo fosse ancora più