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solo lasciando cadere le braccia a guisa di molla che si rallenta in seguito ad uno sforzo eccessivo.

Ciò che Filippo doveva dire era così difficile, così umiliante, che egli paventava il suono della propria voce.

Il cuore, più che l’orecchio materno udì:

— Sposo Minna.

Uno scatto terribile, un balzo ed un urlo di fiera colpita a morte:

— Tu?

E in questo monosillabo c’era tutto. Esso voleva dire: Tu, nutrito dei migliori succhi del mio orgoglio, tu, il lioncello che l’anima mia plasmava nel più alto concetto della forza e del dominio, tu nato re per il diritto divino dell’intelligenza, anelante ai più alti destini, despota della tua e dell’altrui volontà, tu cadere sì meschinamente?

Affranta, nella impotenza di piangere, ma sentendo che tutto il suo sangue si tramutava in lagrime, la signora Cònsolo disse ancora per un istinto di reazione:

— Non è possibile!

E siccome Filippo taceva, chiusa la fronte fra le mani, ella gli si accostò tentando di