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andava sviluppandosi in Minna quanto più le cresceva la persuasione di non essere amata da Filippo. Se nei primi tempi lo stordimento, la timidezza, la sua stessa innocenza erano state guardiane dell’illusione, se fino alla prova suprema del figlio le fu concesso sperare, cadevano ora le rosee bende del sogno dietro cui celavasi a lei ignara la realtà. Il turpe fatto di essersi concessa ad un uomo che l’aveva presa per subitaneo capriccio la manteneva ora nell’ignobile volgarità di un vincolo puramente carnale da cui rifuggivano e i suoi istinti e la sua fierezza e la grandiosità stessa del suo amore.

Comprendeva finalmente di qual fatale inganno fosse stata vittima, senza poter accusare nessuno, neppure Filippo che non l’aveva circuita delle solite reti della seduzione, che era caduto egli stesso in una avventura non voluta e non cercata. Per questo ella tentava scusarlo nel suo pensiero; e più scusava Filippo più accusava se stessa e accusandosi non si faceva grazia di nessuna circostanza attenuante, spinta dal suo irresistibile bisogno di verità, sentendo che solamente in essa avrebbe potuto trovar pace.