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lo aveva sentito così lontano come allora; e la sensazione di solitudine che l’aveva perseguitata tutta la vita le si rinnovava a fianco dell’uomo amato in quel grigio e freddo crepuscolo invernale, lungo il Naviglio che volgeva le acque torbide gonfie dalla gran neve caduta, quasi sinistre sotto la luce verdognola dei primi lumi che si accendevano boccheggianti sotto le raffiche diaccie.

La nuova camera in via S. Barnaba era piccola, antipatica, male arredata. Minna ne scoperse subito i difetti e coll’ardore che metteva in tutte le cose che riguardavano Filippo si pose a riordinarla. Non c’era fuoco, il freddo penetrava umido e intenso dai muri imbiancati a calce e dalle commessure della finestra ironicamente riparate da un rotolo di stoffa; tuttavia ella si tolse il mantello per essere più libera nei movimenti. Il suo corpo sottile e fragile incominciava ad arrotondarsi con una curva che era ancora di grazia e che aggiungeva quasi un’attrattiva di femminilità matura all’espressione ingenua del suo volto. A un tratto Filippo la vide impallidire e appoggiarsi alla sponda del letto.