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iridescenti, da cui sorge la visione magnifica e perturbatrice; e il mattino, il sano e roseo mattino che sorride ai bimbi robusti trovava Meme estenuato e finalmente stanco.

Allora lo tenevano a letto per farlo riposare, perpetuando il circolo vizioso nel quale si aggirava come un povero uccellino che l’amore cieco di un fanciullo costringe in una gabbia troppo angusta.

Quando fu il tempo di mandarlo a scuola, la madre, che già aveva paventato per Meme il sole e l’aria, temette la severità della disciplina, il contatto degli altri bimbi, il peso obbligatorio del programma e giudicò miglior partito affidarlo alle cure di un vecchio prete della parrocchia. Ben coperto, con mille ingiunzioni e raccomandazioni, Meme usciva finalmente dal tetro portone accompagnato dalla bàlia la quale non lo lasciava se non dopo averlo rimesso nelle mani stesse del sacerdote.

Questo passaggio dalla casa alla canonica, dall’austerità del vecchio palazzo al misticismo della chiesa, ebbe per risultato di arricchire di nuove visioni la fantasia