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rasmi, tutte le atonie di una misera costituzione.
Correva invece del corpo la fantasia di Meme. Quando la stagione non gli permetteva più le lunghe soste sotto i portici e nelle vaste camere per il gran freddo si congelava il fiato sulle labbra, Meme andava a rifugiarsi in cucina dove attorno al povero focolare la bàlia, con una fede e una pazienza da vestale, tentava di tenere sempre vivo il fuoco.
I fanciulli del secolo venturo domanderanno: che cosa è il fuoco? E non lo sapranno, e non vi sarà alcuno al mondo capace di narrare questa grande poesia giunta al suo tramonto. Più alcuno, mai, accoccolato sotto la cappa di un camino potrà ridire la bellezza della fiamma. La conosceva Meme. Erano note a lui tutte le forme del fuoco, dalle lingue rosse sprizzanti dal ceppo all’alta catasta ardente in cui ruggivano voci di mostri invisibili, dalle scintille moribonde ricorrentisi con bagliori azzurrognoli lungo il fumaiolo ai mille lumicini che punteggiano i tizzi anneriti con tremolii di stelle e che la bàlia chiamava “le lam-