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tano la fanciullezza dell’oggi e che tanta luce di poesia sanno infondere nelle piccole menti. Mentre la bàlia raccontava, Meme faceva suo tutto quel mondo di Fate, di animali parlanti, di alberi che cantano, di fontane che gettano perle, di frutti d’oro, di farfalle di smeraldo; e quando tornava a’ suoi giuochi solitari, la mente popolata di di quelle vaghe creazioni dava un linguaggio agli esseri inanimati. Egli parlava colle formiche, coi fili d’erba, cogli atomi danzanti in un raggio di sole, colle tele trasparenti che i ragni tessevano negli angoli abbandonati.

No, Meme non si annoiava mai. Anche i sassolini che egli raccattava nel cortile, anche le chiocciole dall’architettura bizzarra avevano qualche cosa da dirgli, qualche cosa che Meme raccoglieva nel profondo mistero della sua anima di bimbo.

La prima volta che gli mostrarono uscite dal foro di una cannuccia le bolle di sapone dipinte con tutti i colori dell’iride e le vide, librate nello spazio, assurgere lentamente al ciclo, la sua gioia fu clamorosa. Rideva, piangeva, batteva le manine, ma