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E l’ingiunzione così pronunciata da lei parve il colpo di frusta che il domatore agita nell’aria.
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In seguito al temporale la notte era scesa fresca e piena di stelle, invitante ai dolci riposi dell’aprile. Ma Renata non poteva dormire. Un violento bisogno di moto l’aveva cacciata fuori dall’appartamento, la spingeva attraverso le sale abbandonate di Crevalcore, sotto l’arco dei porticati dove palpitavano ancora i fantasmi della sua giovinezza. Aveva bisogno di sentirsi libera e sola davanti all’avvenire.
La guardavano forse i suoi antenati? La guardavano le anime semplici di Godelinda, di Bertilde, di Alfrida? O forse la seguivano timide e mute tra l’una e l’altra arcata le ombre evanescenti delle sue sorelle, le ultime morte che portavano vesti molli di bimbe e la lunga treccia sciolta sulle spalle? Ebbene, la guardassero. Ella si rizzava fiera tra mezzo a tutte quelle tombe. Ella stava per scuotere i pilastri della casa mil-