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Seduti di fronte i due coniugi non parlavano più, non si vedevano neppure; solo a tratti, quando un lampo fendeva l’aria, la massa incerta dei loro corpi appariva un istante e allora l’uno guardava l’altro rapidamente. Erano avvezzi a questi silenzi d’odio intensi come i silenzi d’amore. Ancora la mano destra di Giacomo Dena appoggiata sul suo ginocchio usciva dalla massa bruna del corpo formando una macchia più chiara che attraeva particolarmente gli sguardi di Renata. Era la stessa mano dal gesto soave che accompagnava un tempo le parole di Amleto: Dubita Ofelia. Renata la conosceva anche troppo per averla vista dapprima idealizzata quando il gesto del principe le ritornava carezzevole nei sogni della notte, poi docile ed esperta alle più umili funzioni domestiche, ai bassi servigi di una famiglia povera, ed ognuno di tali ricordi la trafiggeva.

Per non vedere quella mano Renata si rovesciò indietro sulla spalliera della poltrona, ma la sedia dove stava seduto Giacomo Dena scricchiolava ad ogni istante. Perchè non sta fermo? — si chiedeva ner-