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dice le traccie d’acqua che Giacomo Dena si lasciava dietro sul pavimento.
— Oh! scusa.
Egli tornò indietro e riapparve pochi istanti dopo coi piedi asciutti.
— Un uragano tremendo.
Renata confermò l’osservazione con un cenno del capo senza parlare.
Giacomo Dena si accostò ad una delle finestre, una mano dietro il dorso, lisciandosi coll’altra i baffi grossi e spioventi di un grigio ancor bruno. Portava i capelli accuratamente pettinati con quella piega particolare che si chiama orecchia di cane; i suoi lineamenti regolari non avevano sofferto molto dagli anni; la pelle era florida, l’occhio largo e nero piuttosto opaco a fior di testa; solamente la persona che era stata così bella si era appesantita all’avvicinarsi fatale della cinquantina. Vestiva con grande proprietà, quasi con una specie di dignità rimastagli dalle antiche abitudini di fare il principe sul palcoscenico. I suoi calzoni a quadretti bianchi e neri ragnati in qualche punto cadevano con pieghe nobili, l’abito nero spazzolato tutti i giorni con attenzione minuziosa re-