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fera investiva Crevalcore; gli usci privi di serratura sbattevano e cigolavano, il vento gemeva ingolfandosi nei lunghi corridoi, crepitavano le travi annose, qualche embrice staccandosi dal tetto precipitava nel cortile. Ben presto il solito stillicidio incominciò lungo i cornicioni del soffitto e i rigagnoli corsero attraverso l’ammattonato formando le solite pozze. Una voce bizzarra, una voce dove le note infantili si mischiavano a un tremolìo che pareva di pianto, sorse improvvisamente a recitare una cantilena melanconica interrotta dagli ululati del vento, soffocata a tratti dallo scoppio del tuono.

— Balia! — chiamò ancora Renata affacciandosi all’uscio — dov’è Meme?

— Lo odi figliuola?

— Sì lo odo. Dov’è?

— Sotto il portico, con questo tempo! Ma egli fa sempre così.

Lo stesso movimento di sprezzo che già aveva contratte poco prima le labbra di Renata a proposito del fratello, riapparve. Stava forse per soggiungere qualche cosa quando entrò suo marito.

— Bada — ella disse segnando coll’in-