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a un libro che si trovava in un piccolo scaffale accanto al muro; libro vecchio, libro noto, libro altre volte caro. Lo aperse o piuttosto si aperse da sè fra due pagine dove l’uso aveva scavato un solco e lesse sottolineate lievemente dalla matita queste parole: “Quello ch’io volevo, quello che io bramavo, era d’amare e d’essere amato„
Con un movimento di disgusto gettò via il volume. Qualunque accenno all’amore la esasperava oramai colla nausea di un cibo inacidito che ritorni a gola. Ella odiava l’infausta passione per tutto l’ardore che vi aveva consacrato un tempo, per tutte le sue speranze deluse, perchè era stato la rovina della sua vita; rovina intima, profonda, di cui ella sola conosceva i tortuosi meandri. E non unico Giacomo Dena l’aveva svogliata dell’amore: un altro, uno che le era apparso nei giorni della disperazione a guisa di salvatore, colui veramente le aveva avvelenata l’anima. Ella portava nel petto, a sinistra, una piaga bruciata che non dava più sangue ma sulla quale era scritto: Nulla. E Giacomo Dena pagava anche per colui.
Renata si pose ad ascoltare. Già la bu-