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scito a calmare le smanie della signora. Amica, parente, serva fedele, la donna che l’aveva nutrita del suo latte era rimasta nel crollo generale delle illusioni la sua sola confidente.

La nutrice conosceva tutti gli avvenimenti della famiglia e sapeva e rammentava cose che Renata nella sua lunga assenza aveva dimenticate. Reclusa volontaria, da mezzo secolo compenetrata colla storia più intima del palazzo e coi muri stessi dei quali le erano noti tutti gli angoli e i più segreti nascondigli, fatta — ella già prosperosa un tempo — rovina nella rovina, colorita del bruno grigiastro delle muffe, cogli occhi misteriosi di chi è avvezzo a guardare i fantasmi, col suo passo incerto di fiammella vagolante fra le tombe, non sembrava una persona bensì l’anima stessa delle vecchie muraglie, l’anima agonizzante di Crevalcore.

E Renata ai suoi occhi era sempre la bella bimba portata con tanto orgoglio sulle braccia. Invano nei capelli della signora correvano traccie di neve, invano intorno al profilo da regina ed alla bocca sdegnosa ed alla fronte altera l’età irriverente posava i