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barono su di loro. Bevvero alla fonte salmastra degli impiegucci implorati ginocchioni, seppero la durezza del pane guadagnato a frusto a frusto; ebbero freddo nelle luride stanze a buon mercato e nelle vie di città straniere dove non incontravano un volto amico. Così peregrinando travolti nel turbine cieco del loro destino colla incoscienza passiva di festuche portate dal vento finirono la loro giovinezza.

Nella disperazione di ogni tentativo esaurito essi erano finalmente tornati a Ferrara dopo tanti anni di assenza, sconosciuti, dimenticati, vinti, per andare a seppellirsi nel palazzo decrepito, proprietà del municipio, al quale l’ultimo marchese di Crevalcore lo aveva venduto ritenendo poche stanze di abitazione per sè e per la sorella finchè stavano nel mondo. Giacomo Dena aveva poi trovato in città un impieguccio misero ed oscuro, tanto da non morir di fame.

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— Renata.... Renata.... Renata....

Il dolce richiamo della nutrice era riu-