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quei poveri istrioni si lasciavano dietro, schiuma densa delle amarezze delle loro anime, resti tristi e miserevoli del naufragio di tante illusioni.
Nulla vi era di comune fra la povertà austera del suo palazzo paterno e la manchevolezza inorpellata di quelle abitudini randagie dove ad una mensa senza tovaglia imbandita coi piatti freddi di una trattoria di terzo ordine il finto principe chiedeva la forza necessaria per declamare dinanzi al pubblico la sue nobili ire. Nulla somigliava meno al nido d’amore che ella aveva sognato di quelle alcove raccogliticcie stinte e maculate da innumeri coppie venute prima, aperte alle innumeri coppie che verrebbero dopo; e se nei giorni iniziali la novità dell’amplesso potè tenerla in uno stato di commozione simulante l’ebbrezza, il profondo dissidio fra quelle due creature che un equivoco aveva congiunte per sempre scavava a loro insaputa il lavoro sotterraneo di mina.
Si direbbe che l’amore ha nei rapporti verso certi esseri la stessa facoltà della pietra di paragone per i metalli ed a questa