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Conobbe allora il retroscena volgare di ciò ch’era stato il suo poetico sogno. Coll’abito di velluto nero e col gioiello iridescente chiusi in un baule in aspettazione di nuovi teatri era sparita anche la nobile eleganza del principe di Danimarca. Lungi dai lumi della ribalta e dall’applauso eccitatore, Giacomo Demi non era più che un uomo mediocre, molto mediocre, e quando Shakespeare non parlava per le sue labbra egli trovava difficilmente qualche cosa da dire. Mai forse la sorte si era servita di un trucco più ingannatore per aiutare l’illusione amorosa già in sè così mutevole se avviene il passaggio dal desiderio alla realtà.

Tutte le miserie del palcoscenico le furono note; quella vita fittizia di pochi istanti luminosi in teatro e di lunghe, monotone, triviali giornate trascorse nella freddezza repulsiva di una camera mobiliata, fra occupazioni povere e grette, nell’isolamento costante dei nomadi, nella tristezza profonda dei senza casa; quel piccolo mondo luccicante dei falsi bagliori di un coccio di vetro e così pieno di invidia, di maldicenza, di pettegolezzi, di tutto il rifiuto vile che