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nata, la incommensurabile tristezza de’ suoi giorni l’aveva spinta al passo fatale? Oh! se fosse un sogno, tutto un sogno il passato!... Ma no. Esso era scritto a caratteri incancellabili in quello che era stato il suo destino.
A venticinque anni Renata non sapeva nulla dell’amore. La vita rinchiusa, la povertà, le malattie, le morti facevano il vuoto intorno a Crevalcore. I due o tre vecchi amici di suo padre che soli varcavano a rari intervalli il portone del palazzo non vi recavano che sciupata ed affievolita l’eco dei rumori mondani, e se in certe notti serene appoggiata al parapetto del terrazzo, ella aveva chiesto al cielo la rivelazione del dolce mistero, gli era appunto perchè alle oscure domande de’ suoi sensi la sua casta ignoranza non sapeva come rispondere.
Ella aveva avuto tutte le purezze, tutte le idealità. Non pensava ella allora che le stelle non erano abbastanza caste perchè avevano il colore degli zecchini d’oro? E fu in mezzo a tanta poesia di aspirazioni, a tanta ignoranza della vita che Renata si