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rasse. Quel bimbo a cui erano stati imposti i nomi solenni di Alfonso Maria Ercole Francesco Luigi, ma che allora e sempre chiamarono Meme con un diminutivo in cui veniva a raccogliersi la tenerezza e la compassione che ispirava, aveva, frodando i sogni ambiziosi de’ suoi genitori, suggellata la decadenza della razza. Fra il bimbo delicato e le sorelle votate alla consunzione, Renata sola si estolleva superba di bellezza e di rigoglio. A lei sola per occulti germi miracolosamente conservati era giunta nel trasporto di un primo amplesso la superba eredità degli avi guerrieri.

Ma la coscienza di tale superiorità doveva sorgere tardi nella fanciulla, almeno in forma chiara e compiuta. A quindici anni la frotta delle chimere alimentate dalla vita rinchiusa facevano ressa al capezzale de’ suoi sonni e quando dal terrazzo contemplava il cielo lei pure, al pari di tutte le fanciulle, non aveva chiesto ad esso che il segreto dell’amore. Quale tesoro sepolto era stata la sua giovinezza trascorsa fra bambini malaticci mentre nel suo petto fremevano tutti i succhi di un organismo po-