Pagina:Neera - Crevalcore, Treves, 1907.djvu/31


— 25 —

Tese le sue povere braccia verso la signora e piangendo e singhiozzando disse:

— Ah! donna Renata, figliuola mia, lo sai pure che il palazzo appartiene ora al Municipio. L’entrata è libera a chiunque.

Donna Renata impallidì. Nessuno fuorchè la sua nutrice avrebbe potuto impunemente rammentarle quella che era stata l’ultima onta della famiglia. Impallidì e la sua testa altera descrisse la curva di un fiore reciso.

Era dunque vero. Non era stato un sogno la sua vita, la stolida vita che si era ella stessa fabbricata inseguendo un sogno indegno di lei? Che cosa non avrebbe pagato ora perchè fosse stato veramente un sogno? Ma, pagare, questa parola non era forse il colmo dell’ironia pronunciata da chi non possedeva nè denaro, nè gioventù, nè amici, nè avvenenza, nè ingegno? Ella aveva pure avuto la gioventù, l’ingegno, l’avvenenza, che cosa ne aveva fatto?

E dalla sua grande forza dominatrice quale conquista era uscita? Dove erano i mondi soggiogati, le turbe plaudenti? Dove era l’incenso della ammirazione? Dove il profumo inebbriante dell’invidia delle rivali