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vrà darmi! — esclamò con voce ancor più vibrata il marchese di Crevalcore.
Riapparve sulle labbra del barone il sorriso sarcastico, mentre il generale smaniava nella sua lingua straniera, ma più pronto di essi si fece innanzi il principe misurando Meme da tutta l’altezza della sua statura e del suo orgoglio.
— Basta, signor marchese — disse con purissimo accento italiano. — Ella dovrebbe comprendere che le sue pretese sono affatto fuori di posto. Non tocca a lei abusare di una situazione già penosa per tutti. La prego di seguirci nella cappella per la funzione religiosa.
— Io non muoverò un passo se prima non mi si dànno le spiegazioni richieste.
Così rispose con ferma attitudine il marchese di Crevalcore, sì che il barone scattando d’ira esclamò:
— Ma che spiegazioni! Ella è qui per un contratto e non per altro.
— Io sono anzitutto un gentiluomo in casa di gentiluomini e domando di essere trattato da par mio.
— Da par suo!... — scattò ancora il barone con un ghigno beffardo.