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dino, verso il bosco, una civetta faceva udire a intervalli il suo lugubre strido.

La sensazione di malessere che pesava sopra quegli uomini riuniti in causa di un losco affare da una parte e di una sublime illusione dall’altra, riuniti ma non fusi, ma incompatibili tra loro, in quell’ambiente di mistero, col terribile ignoto che li attendeva, stava per divenire insopportabile, quando una porta si aprì silenziosamente dietro ad essi e un vecchio signore entrò frettoloso cercando cogli occhi. Scarpitti lo riconobbe; era colui col quale aveva già dibattuto i capitoli del contratto.

— Signor barone — disse inchinandosi ossequiosamente — ho l’onore di presentarle il marchese di Crevalcore.

Un’occhiata indefinibile, un moto nervoso delle labbra, un cenno del capo breve e altero. Null’altro.

— Il signor Dena, cognato....

Colla mano il barone tagliò corto a questa seconda presentazione. Sembrava che il parlare gli costasse assai, ma facendo uno sforzo disse con voce gutturale ed accento straniero: