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mere che ancora resistevano, ed anche salvati così morivano tutti i giorni un poco della consunzione che rodeva tutta la casa. Era veramente la morte che si aggirava nei sotterranei a metà diroccati, dove cupi rimbombi nella notte facevano pensare a un occulto potere distruttore: la morte che strideva nei lunghi androni, nelle occhiaie spettrali dei portici, nelle bocche misteriose e smisurate dei camini; la morte che danzava una ridda frenetica nei paurosi solai percorsi da innumerevoli passi di esseri invisibili fra cui scrosciava tratto tratto, come una risata diabolica, il crollo di un fumaiolo. E su, dal cortile, dal tristissimo fra i tristi cortili ferraresi, il soffio gelido della morte saliva insieme al tanfo della muffa mettendo un brivido nell’aria.
I bambini nati fra queste rovine, recanti nel sangue i germi malati di una razza troppo vecchia, posero gli ultimi sorrisi sulle pietre annerite. Per qualche anno ancora un grido giulivo risvegliò di tratto in tratto l’eco addormentata; piccoli piedi impazienti percorsero i sinistri corritoi, piccole mani ignare strapparono l’erba grigiastra del cor-