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nervi che si ritrasse in fondo al vagone per raccogliersi un istante e per calmarsi.
Intanto, dalla folla agglomerata intorno al cancello di uscita verso la città, una piccola forma nera si spiccò guizzando e venne incontro ai due viaggiatori. Era un ometto dall’età incerta, dal volto sbarbato, dalla pelle bronzina, dagli occhi neri e lucenti come capocchie di spillo; tutto nero lui, tutti neri gli abiti; solamente quando aperse la bocca sorridendo una larga bianchezza apparve sotto forma di due enormi rastrelliere d’avorio e da tale improvviso contrasto il volto dello sconosciuto sembrò ritrarre una espressione ancora più lugubre.
— Scarpitti! — esclamò Giacomo Dena muovendogli incontro con vivacità.
I due uomini scambiarono una stretta di mano energica e lunga.
— Presento il marchese di Crevaleore, mio cognato. Il cavaliere Scarpitti, il mio migliore amico.
Meme salutò con indifferenza; l’altro, previa una profonda scappellata, gettò uno sguardo diffidente su tutta la persona del-