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la serenità e la sicurezza del gran signore ed uno sprezzo profondo delle cose che formavano la felicità di Giacomo Dena. Egli non avvertiva neppure la differenza dei nuovi abiti che indossava, nè il lusso del vagone in cui si trovavano. Sembrava che tutto ciò che era fuori di lui e de’ suoi pensieri non potesse interessarlo. La sua realtà essendo il sogno, egli passava attraverso la realtà in attitudine di dormiente.
Giacomo Dena intanto aveva accavallato un ginocchio sopra l’altro mettendo in evidenza le calze di filo di Scozia e guardando sempre la signora colla fissità magnetica dell’uomo irresistibile, finchè il treno si arrestò a Rovigo.
— Abbiamo qualche minuto di fermata — disse a Meme — discendi?
Al cenno negativo di suo cognato s’avviò tutto solo verso il caffè della stazione col passo elastico della persona sicura di sè, delle proprie gambe, del proprio stomaco, della propria borsa. Ordinò una bibita, la più costosa, volendo rifarsi delle privazioni di tanti anni e la sorbì in piedi col mignolo della mano un po’ rialzato affinchè il brillante scintillasse.