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Soddisfatto del suo spirito, Giacomo Dena si abbandonò sui cuscini del vagone di prima classe che lo portava a Venezia. Egli parlava in apparenza a suo cognato, che per vero dire lo ascoltava distrattamente, ma gli occhi non si muovevano da una bella signora che gli sedeva dirimpetto. Si era già di soppiatto infilato sul mignolo un grosso brillante che non aveva voluto mostrare prima, temendo le osservazioni di sua moglie, e che ora girava e rigirava con sapiente manovra appoggiando la mano sulla portiera del vagone per presentarlo nella miglior luce.
— Ti senti bene? — domandò al cognato colla affettuosa previdenza della persona pratica che accompagna un inesperto. — Non ti viene aria da quella parte? Si può chiudere, sai.
Meme dichiarò che non gli veniva nessuna aria. Non c’era in lui la goffaggine del novizio che si meraviglia di tutto. Il suo spirito abituato alle astrazioni non era mai così completamente sulla terra da avvertire le piccole molestie che impressionano gli altri. Aveva poi per istinto, per atavismo,