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rava intorno a loro muta e palpitante, non osando interrogare, perplessa e triste per un oscuro presentimento.
La partenza per Venezia era fissata col treno delle undici. La precedette un leggiero asciolvere al quale intervenne anche Giacomo Dena, facendosi aspettare un poco, splendido nei panni nuovi che aveva finalmente potuto indossare dopo tanti anni di vita cenciosa.
Secondando i suoi istinti di bell’uomo e di antico artista, egli si era compiaciuto nella ricerca degli effetti, attenuandoli con una linea di serietà che doveva crescergli importanza e circondarlo di rispetto. I suoi capelli di un bel grigio uguale, folti, bene pettinati, gli si gonfiavano sulle tempie colla solita piega; ma pur essendo la solita, sembrava svolgere come un’onda più larga e più sicura formando arco al di sopra dell’occhio da cui lampeggiava tratto tratto un fascio di scintille.
Richiamati a tempo, i ricordi del palcoscenico erano accorsi volonterosi a prestare per una volta ancora a Giacomo Dena il portamento e l’incesso di un personaggio