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Da un lato del portico saliva dritta e ad una sola rampa la scala che conduceva al piano superiore dove pure aprivasi un altro portico più breve e sovrastante appena in parte al porticato del cortile. Per tutta la lunghezza di questo portico correva, larga il doppio e alta come una chiesa, una sala che il cicerone battezzò sala del trono e che mostrava infatti attraverso all’oltraggio dei secoli qualche segno della primitiva grandezza. Il soffitto a cassettoni, una caminiera dalla quale erano stati tolti evidentemente i fregi migliori, l’impronta ancora visibile del posto dove erano appesi gli arazzi attrassero subito l’attenzione dei visitatori. Il signore anziano pronunciò con ammirazione:

— Qui è passato il Cinquecento. Questo palazzo è a strati: giù abbasso il Medio Evo più fosco, in alto il soffio gagliardo del secolo di Leone X. Peccato che un secondo piano non ci riservi le raffinate ricercatezze del rococò. La rovina deve essere entrata fra queste mura prima ancora del settecento.

Visitarono curiosamente altre sale a perdita di vista, tutte cadenti, tutte squallide, colle finestre sfondate, con qualche raro di-