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trare così volonteroso nel suo piano e facilitargliene quasi la via. Ripetè con slancio:
— Sì, povera fanciulla!
Il ricordo dell’errore giovanile, quel ricordo che era il suo strazio perenne, le servì allora di alleato. Ella che aveva maledetto il proprio amore con tutte le forze dell’animo tradito e disgustato ebbe il coraggio di trarlo dal profondo del cuore, di portarlo alla luce viva del giorno, di guardarlo in faccia ancora una volta. Ella, senza paura della ferita che si lacerava nella evocazione e gocciava sangue, senza pietà del suo orgoglio che urlava, ella disse:
— Chi meglio di me potrebbe comprenderla?... Meme, rammenti?... Rammenti?... Ah! tu la compiangi, nevvero?... tu l’ami forse di più?...
A capo chino Meme non rispondeva ma la sua mano stringendo in silenzio la mano della sorella sembrava accentuarne ogni parola. All’ultima domanda scoppiò in un singhiozzo.
— .... Perchè — continuò Renata appassionatamente — che cosa è l’amore se non l’incenso migliore delle anime nostre