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più pietoso senza togliergli una certa grazia primitiva che gli veniva dall’artista che lo aveva scolpito, ignoto e ingenuo nell’arte sua eppur non privo di ispirazione, poichè un dolore intenso emanava dalle membra straziate ed assurgeva nell’espressione del volto ad una rassegnata calma divina.
Una tavola con pochi libri, un cassone e qualche sedia formavano tutto l’arredamento della camera che aveva un aspetto straordinariamente malinconico tra la cella e la prigione; ma sulla tavola emergeva dall’acqua di un bicchiere una freschissima rosa e bastava essa sola ad irraggiare nel misero ambiente il sorriso consolatore della bellezza. Ve l’aveva posta la mano tremula e fedele della vecchia nutrice.
Entrando in quella camera Renata non seguiva un piano prestabilito. Ciò che occorreva era di non abbandonare Meme a se stesso. Infatti gli si pose accanto tacita e materna aspettando che spontaneamente rivelasse l’animo suo. Ma egli non faceva altro che piangere; di un pianto interno, silenzioso, spasmodico, visibile più che dalle rare lagrime che gli velavano il ciglio dagli