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caduti. Renata pensava a una cosa sola: riuscire. E vi pensava con ostinazione, adducendo verso quella meta tutte le forze del suo potente organismo, eccitandosi col suo profondo disprezzo degli uomini, aspirando, come un cavallo in guerra aspira l’odore della polvere, il pensiero di vendicarsi con essi di essi. Non credeva alla nobiltà d’animo degli uomini. Se suo fratello appariva nobile è perchè era un malato e uno squilibrato. Sano, sarebbe stato anche lui egoista e vile come tutti gli altri.
Il giorno in cui a norma dei calcoli fatti doveva giungere la seconda lettera di Elganine al marchese Crevalcore i due complici non osavano guardarsi in volto. Renata accentuava l’espressione di baldanza dietro alla quale celavasi l’ansia segreta e Giacomo Dena percorreva a passi cadenzati l’ampio corridoio spiando senza averne l’aria l’arrivo del portalettere.
Meme, che pur doveva rodersi di impazienza, appariva il più calmo. Egli era già entrato nel sogno, egli era pronto; pronto e quasi indifferente ai particolari del sa-