Pagina:Neera - Crevalcore, Treves, 1907.djvu/116


— 110 —

come allora si erano rassomigliate, la gracilità malaticcia di Meme, la rigogliosa avvenenza di Renata, nella cupa concentrazione delle pupille e nell’arco teso della bocca dove in entrambi un segno costante della loro razza poneva il suggello misterioso della bellezza.

— Scrivi oggi?

— Subito. È Lei che me lo chiede.

Renata fece ancora il tentativo di allontanarsi. Egli la richiamò. Era inquieto, agitato. Come sempre la sua intelligenza si smarriva dinanzi ai particolari materiali. Non trovava l’inchiostro, brancicava la carta. Comprendeva che l’istante era decisivo perchè una parola fuori di posto poteva perderlo per sempre nel concetto della donna amata. Che cosa dirle che fosse abbastanza alto, abbastanza puro? e disinteressato sopratutto?

Renata fu sul punto di offrirsi in aiuto ma si frenò a tempo. Occorreva che agisse da solo. Sedette in un canto per lasciargli tutta la libertà di provare e riprovare. Qualunque cosa scrivesse non dovendo giungere a destinazione era affatto inutile il suo intervento. Così se ne stette muta, assorta,