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Era un mattino di maggio sereno, incantevole, e Meme stava appunto scandendo tra sè i versi melanconici quando la nutrice con passo affrettato e volto stupefatto venne a dirgli che c’era dalla posta una lettera per lui. Il passo affrettato e lo stupore trovavano la loro spiegazione nel fatto che Meme non aveva mai ricevuto altre lettere all’infuori di quelle che a rari intervalli gli scriveva sua sorella quando era assente da Ferrara, e, quasi a condividere la sensazione di meraviglia della buona donna, Renata la seguiva a breve distanza. La lettera inoltre recava nell’indirizzo il titolo avito della famiglia, titolo che nello squallore dell’ultima generazione era stato abbandonato: “Al signor marchese Alfonso di Crevalcore„.

Un violento rossore salì alle guancie di Meme. Renata che lo stava spiando ritta sulla soglia e in apparenza calma lo vide contemplare a lungo la soprascritta. Maestra di audacia gli chiese:

— Chi ti scrive?

— È appunto quello che stavo cercando.

— Non è una calligrafia nota?