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che tali studii non miravano ad alcuna applicazione pratica. Ebbe poi anche un lungo periodo di sconforto durante il quale non aperse più un libro. Stette allora mesi e mesi senza udire altra voce che quella della nutrice.

Ma la sua bella vita interiore non subiva interruzioni. Fin dalla triste avventura dell’angiporto, Meme aveva giurato a se stesso di non amare mai se non in modo alto e puro.

Intorno a questo concetto di un amore fuori del comune egli giunse ad allacciare tutti i suoi sogni. Non sapeva immaginare la donna se non circonfusa da una aureola: angelo, dea, regina, santa. Le vie solite che conducono all’amore lo trovavano refrattario. Preferiva la sua solitudine casta ad una cattiva imitazione dell’ideale tanto vagheggiato. Piuttosto nulla che press’a poco. Ed era felice in questa aspettativa spoglia di impazienza; il suo temperamento di contemplatore vi si appagava, mentre la fantasia vagabonda aggiungendo ogni giorno qualche cosa, mutando e rimutando, gli dava nell’inerzia l’illusione del moto. Gli anni