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gialliccio, coll’indefinibile profumo di incenso e di rose secche che faceva pensare alle dita delle suore morte; e mi pareva bello un piatto di maiolica bianca traforato, nel quale, perchè fesso, mia zia dava la zuppa al gatto.

Tutte, tutte le cose vecchie, le cose che avevano vissuto, che dovevano contenere tanti sorrisi e tante lagrime io le amavo. Ed anche la bellezza plastica, i fiorami del ferro battuto, la sagoma della serratura e la trama del velluto nel cofanetto, il colore del raso nell’Agnus Dei, il traforo ingenuo del piatto parlavano ai miei occhi il linguaggio di un’arte rigogliosa, che allora non era alla moda, che nessuno curava, ed alla quale si preferiva il motto d’ordine della linea angolosa e della rigidità. Ah! io ho troppo amato l’arte antica, l’ho amata con passione muta, chiusa, isolata, quando essa