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prossima la legge sul divorzio; ma che importano i giornali e la legge davanti a Dio e alla propria coscienza?

Giacobbe tornò ad alzarsi, riprese il fiaschetta dell’acquavite.

— Se Brontu domanda, chi ha bevuto l’acquavite, peggio per lui, gli dirò che l’hanno bevuta i topi. Ah! Oh! Ah!

Rise, bevette, tornò a coricarsi. Si riaddormentò e sognò di trovarsi presso una sua sorella, alla quale raccontava il sogno del cane, di Costantino, della catena.

Si svegliò che il sole era già apparso sul confine dell’altipiano, dietro una linea di vapori azzurrognoli. Il mattino era un po’ freddo e velato; le macchie, i cespugli, le stoppie, le erbe tenere e chiare scintillavano di rugiada ai raggi obliqui del sole; gli uccelli frusciavano e cantavano fra i cespugli; ed era un sussurro così intenso che sembrava uno scroscio cristallino di pioggia: qualche fischio acuto, qualche strido rauco di corvo risonava sullo sfondo di quel coro tremulo e metallico come un velo d’argento; poi tutto svaniva nell’intenso silenzio del piano.

Giacobbe uscì, stiracchiandosi e sbadigliando. Sbadigliava talmente che le sue mascelle scricchiolavano; tutto il suo viso nudo si raggrinziva intorno al cerchio della bocca spalancata, e gli occhietti obliqui, gialli al sole, lagrimavano come quelli d’un cane.

— Ebbene, — pensò, stringendosi le mani