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— Ebbene, lasciami diventar pazzo. Ecco, stringi quella cinghia. Ah, tu gonfi la pancia, cavallino, — disse poi, rivolto al cavallo; — non ti va un viaggio di sera? Che dirai quando la vecchia starà in groppa?

— Anche questo? — gridò Giacobbe.

— Anche questo, sì, che t’importa? Non è mia suocera?

— Tu corri troppo, in verità: bada di non romperti il collo, uccellino di primavera... Ah! Ah! Ah! Tu vuoi davvero far sul serio? — cominciò a borbottare il servo. — Tu vuoi sposare quella pezzente, quella donna maritata? Tu che potevi sposare un fiore? E Costantino Ledda è innocente. Ah, ma egli tornerà, ti dico io che tornerà.

— Lasciami tranquillo, Giacobbe. Pensa ai fatti tuoi. Metti una bisaccia sulla groppa. Zia Bachisia?

Giacobbe corse dentro la capanna, e urtò nella donna che veniva fuori.

— Vergognatevi! — le disse egli, tremante. — Siete peggio d’una pezzente! Ah, parlerò io con Giovanna, parlerò io...

— Tu sei pazzo, — rispose zia Bachisia, e poi pronunziò a bassa voce una turpe insolenza. E uscì fuori.

Poco dopo lei e Brontu partirono. Giacobbe li vide allontanarsi nella tanca solitaria, via via pel sottile sentiero, dietro i cespugli, dietro il fumo della brughiera incendiata. Preso da un impeto di rabbia impotente si strappò dal