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quando la sua famiglia era venuta ad abitare nella casa nuova, Giovanna. Allora aveva quindici anni, Giovanna; era d’una bellezza e d’una freschezza ammirabili. Ogni volta che la vedeva, Brontu arrossiva fin sulle mani, ed ella se ne accorgeva e non si offendeva; ma egli taceva sempre, e quando finalmente s’era deciso a mandar la madre dalla madre di Giovanna, il posto era preso. In quei tempi Giovanna, fiera ed ardente come una puledra, non sapeva il valore del denaro, e come avrebbe sposato Brontu Dejas soltanto per i suoi bei denti, non avrebbe tradito Costantino neppure per il Vicerè, se in Sardegna vi fosse stato ancora.

Il crepuscolo si addensava. Il cielo diventava sempre più cristallino, e le nuvole prendevano un color lividognolo, lunghe e squamose come pesci. Le voci degli animali e delle cose si facevano più intense nel grave silenzio dell’ora; ed a Brontu parve di sognare, nel sentire una sera in quel luogo e a quell’ora, la voce di zia Bachisia.

Santu Iuanne Battista meu, — esclamava la voce, rude e dolente nello stesso tempo. — Se non mi sbaglio tu sei Giacobbe Dejas?

— Per servirvi, — tonò alquanto meravigliata la voce del servo. — Chi vi ha fatto piovere da queste parti, uccellino di primavera?

— Ah! Ah! Finalmente! Dove è Brontu Dejas?

Brontu balzò fuori dalla capanna: gli tremavan le gambe, la testa gli girava; e vide