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forze erano: la passione bruta di Brontu, l’avidità di zia Bachisia, il calcolo di zia Martina. Poichè zia Martina non vedeva di malocchio il progetto del figlio: Giovanna era povera, ma sana, frugale, senza pretese, e lavorava come una bestia; una donna benestante avrebbe recato il disordine e la dissipazione in casa, e le nozze avrebbero portato ingenti spese, mentre Giovanna la si sposava quasi segretamente e veniva in casa come una schiava gratis.

Il tempo continuò la sua corsa, sul villaggio di schisto, sulle montagne desolate, sull’altipiano giallo come un deserto: e venne l’autunno, a giorni tiepido e melanconico, quando il mare fumava all’orizzonte e le nuvole gonfie e scure come enormi ragni passavano sul cielo latteo tessendo sottilissimi veli grigi; a giorni lucido, diafano e freddo.

In quelle sere, quando sul cristallo del cielo splendevano le nuvole violette e il vento portava il profumo dei timi bruciati dai contadini che dissodavano la brughiera per seminare il frumento, Brontu beveva lunghi sorsi d’acquavite per riscaldarsi; e si coricava in fondo alla capanna, e sognava, tutto caldo e beato come un gatto. Fuori, intorno alla capanna, per distese grandissime, le tancas dei Dejas ondulavano deserte al lucido crepuscolo; fra l’oro bruno delle stoppie scoppiava la terra gonfiata dalle pioggie autunnali, e l’erba chiara e i violacei fiori d’autunno esalavano un odore di fungo. Stormi di grandi corvi d’un nero metallico, frusciavano