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sono venuto appunto per parlarvi del mio padrone. Se lui non è matto, nessuno al mondo è matto. Egli vuole che voi andiate da Giovanna Era per proporle di dividersi dal marito e di sposarsi con lui.

Isidoro lasciò di lavorare; un’ombra gli velò i buoni occhi sereni: intrecciò le mani, vi depose il mento e cominciò a scuotere il capo.

— E tu, — disse con voce sonora, tu non sei matto, che vieni a dirmelo? Ah, capisco, tu non vuoi perdere il tuo pane. Come sei vile!

— Ohè! gridò l’altro, fingendo di offendersi, — vi credete con le vostre sanguisughe?

— Ah, tu scherzi? Sarebbe tempo di finirla. Di’ al tuo padrone che sarebbe tempo di finirla. Tutto il paese sa la cosa e mormora.

— Ah, caro mio, siamo al principio soltanto e voi parlate di finirla? Io ne ho le tasche piene: giorno e notte non fa altro che parlarmi di questo, quel barile d’acquavite! Gli ho dovuto promettere di venir da voi, ed ecco che vengo, ma non certo per favorirlo. Una sola persona può far tacere questo scandalo: Giovanna. Andate, ditele che faccia tacere quel cane appestato; io non ne posso più.

Isidoro lo guardava fisso, con occhi velati, ma pareva non ascoltarlo; poi si rimise al lavoro e cominciò a mormorare:

— Povero Costantino, povero agnello, che hanno fatto di te?

— Sì, egli è innocente, — disse Giobbe, — e da un giorno all’altro può tornare. Bisogna