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fra queste gambe stava dritto, malfermo, ridente, il piccolo Malthineddu. Ah, ciò era orribile! Ma subito Costantino ricordava che Brontu non stava mai in paese nei giorni di lavoro, e si svegliava di soprassalto col cuore oppresso da un sentimento confuso di dolore e di gioia.
VII.
Ritornò l’estate.
— Come passa presto il tempo, — diceva zia Martina, filando sotto il portico. — Pare ieri che tu, Giacobbe, sei entrato al nostro servizio, ed eccoti lì che ritorni per rifare il contratto. Ah, come passa il tempo per noi poveri padroni! Tu hai messo da parte trenta scudi d’argento e cominci a fabbricarti una casa. Ed a noi che resta?
— Che una palla vi trapassi il fuso! Sapete parlar bene, voi. E il mio sudore, uccellino di primavera, il mio sudore conta niente? — rispose il servo, che ungeva col sevo una corda di cuojo.
— E ciò che mangi non lo conti? Ah, ciò tu non lo conti?
— Che vi mangino i corvi! — pensò Giacobbe, e avrebbe voluto imprecare ad alta voce, ma non osò. Odiava i padroni, la vecchia avara e il giovine collerico, che lo tormentava sempre col suo progetto di sposar Giovanna se essa