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sacco e portarli fuori del recinto... Mentre fantasticava così, ecco, sentiva una strana voce nasale, stridula, pronunziare il suo nome:

— Cos-tan-tì! Cos-tan-tì!

Si svegliava allora dal suo sogno, tornava alla realtà: la gazza saltellava lentamente nel cortile, grassa, tonda, scuotendo le ali azzurre.

Di notte il condannato metteva la lettera sotto il guanciale, e riprendeva il filo dei suoi sogni. E sentiva la voce sonora del suo amico pescatore cantare le laudi, e qualche volta si domandava se davvero Isidoro non avesse veduto in riva al fiume, fra gli oleandri curvati sotto il dolce peso dei mazzi di fiori rosei, la figura di un vecchio vestito di bianco, con la lunga barba candida come la lana d’un agnellino appena nato.

Ah, il Santo Protettore, il buon San Costantino (che egli si figurava vecchio e candido come un patriarca, sebbene la statua del Santo nella chiesa del paesetto rappresentasse un guerriero dal volto nero) appariva a Isidoro per dirgli che pensava, sì, ai condannati innocenti. E il vecchio Santo gli avrebbe presto concesso la libertà. Ah, San Costantino bello, che voi siate benedetto!

Poi il quadro cambiava. Era il portico dei ricchi Dejas, dove si ordiva la lana filata, riducendola a lunghe matasse pronte ad essere tessute. Giovanna andava e veniva col gomitolo enorme tra le mani. E c’era Brontu seduto sul limitare della porta di cucina, a gambe aperte, e