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e il Delegato. Tutti gli altri sono delinquenti. Guardati da loro, Costantino, caro compatriota; questo è un covo di banditi peggiori di quelli che io ho mandato a farsi benedire.

Costantino si spaventava, pensando che se la sua onestà rassomigliava a quella del re di picche c’era poco da stare allegri. Collo d’anitra, poi, era uno studente siciliano, tisico, coi capelli bianchi, un collo lungo e un corpo di fanciullo. Leggeva sempre, era d’aspetto timido, non parlava quasi mai, ma s’abbandonava qualche volta a eccessi di collera violenta, dopo i quali doveva subire gli amplessi di Ermelinda, come i condannati chiamavano la camicia di forza. Aveva ammazzato un professore. Anche il Delegato era meridionale, condannato per ricatto: sembrava un gentiluomo, con un gran petto sporgente, una nobile testa, un gran naso greco e il labbro inferiore sporgente e spaccato. Un’aria di sdegno gli animava il viso: ad avvicinarlo invece era affabilissimo, servile. Anche lui, a suo dire, contava grandi e potentissime protezioni, ma era anche perseguitato da persone altolocate, e specialmente da un ministro.

In quel tempo, dopo aver letto alcuni libri di scienza prestatigli dallo studente, scriveva una grande opera scientifica, poichè anche lui apparteneva all’ufficio degli scrivani e poteva lavorare segretamente per conto suo.

Il re di picche ne diceva meraviglie.

— Ecco, — raccontava a Costantino. — Quel-