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Così compose una lauda di quattro strofe dedicata a San Costantino, con la quale raccomandava al santo i condannati innocenti. Il ritornello diceva:

Santu Costantinu pregade,
Pro su condannadu innocente.

La composizione di questa lauda lo occupò per molti giorni, e lo rese quasi felice: e quando la ebbe finita ne provò una gioia profonda. Subito sentì il bisogno di farla conoscere a qualcuno: ma a chi? Il guardiano, un piccolo napoletano calvo, con un naso schiacciato e all’insù, che pareva il naso d’uno scheletro, non era in grado di capire la lauda: e durante l’ora del passeggio era proibito rigorosamente al condannato in segregazione di rivolgere la parola ai compagni. Allora egli domandò di confessarsi, per poter recitare la lauda al confessore. Il confessore era giovine ed intelligente: ascoltò con pazienza Costantino, gli fece tradurre la lauda; poi gli domandò se, volendosi confessare per poter recitare quei versi, non avesse peccato di vanità. Costantino arrossì e disse di no. Il confessore sorrise benevolmente, lo confortò, lodò i versi, e lo mandò via beato.

Pochi giorni dopo il condannato chiese nuovamente di confessarsi.

— Ebbene, avete composto un’altra lauda? — domandò bonariamente il confessore, ch’era anche il cappellano del reclusorio.

— No, — disse il condannato, abbassando gli occhi. — Ma vengo a chiederle una grazia.