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Intanto, se non disperava, soffriva: e contava i giorni, le ore, i minuti, nella continua e snervante attesa di un cambiamento di cose che non arrivava mai. Una nostalgia accorata lo istupidiva: giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, riviveva col pensiero la vita passata, ricordando con precisione profonda tutti i più minuti particolari della casa lontana. E oltre che del suo dolore soffriva del dolore di Giovanna. Impeti di tenerezza e di amore lo scuotevano dalla sua immobilità pensosa: allora balzava in piedi, camminava a grandi passi, e poichè questi passi non potevano essere che due o tre, si fermava di botto, e appoggiava e premeva forte la testa sulla parete. Erano i suoi momenti più disperati.

Poi tornava a sperare, a intrecciar nella mente sogni fantastici di liberazioni romanzesche, subitanee. Ogni volta che il guardiano entrava, egli si sentiva battere il cuore, aspettando la lieta novella.

A volte giocava da sè alla morra, dandosi il gusto di perdere o di vincere; e dopo rideva fra di sè, come un bambino: altre volte contemplava a lungo la palma della mano aperta, immaginandosi di vedere una grande pianura divisa in lancas, coi muri, i fiumi, gli alberi, gli armenti, i pastori, ai quali creava una vita di avventure emozionanti.

E poi pregava, contando sulle dita, e cantava le laudi sacre a voce alta, provandosi anche ad improvvisare versi religiosi.