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Vieni qui, ti dico, Sidore Pane, che ti morsichi il cane!
Rise della sua rima ben riuscita, ma Isidoro non si fermò.
— E dunque! — gridò ancora l’ubriaco, balbettando un poco; — ti dico di venire! Ah, tu non vuoi venire, piccolo rospo? Ti ho detto...
Ma Isidoro s’allontanava a passi silenziosi.
— Non parlare così, che modo è questo? — mormorò Giacobbe.
Allora Brontu cambiò metodo.
— Fiorellino, vieni! Vieni chè ho da parlarti. Dirai a quella donna tua amica... ebbene, sì, a Giovanna, che se fa divorzio io la sposo.
Allora il vecchio si fermò di botto, si volse, chiamò con voce sonora!
— Giacobbe Dejas!
— Che volete, anima mia? — disse il servo con voce sarcastica.
— Fallo ta...ce...re! — rispose Isidoro in tono di severo comando.
Non seppe perchè, nel sentire quella voce e quelle parole, Giacobbe prese il padrone per il braccio e lo trascinò via, mormorando:
— Sì, sei uno stupido. Che modi sono questi? Ti comporti come un montone, uccellino di primavera.....
— Non me l’hai detto tu?
— Io? Tu vacilli. Io non sono pazzo.
E andarono via uniti, barcollanti: nel portico dei Dejas trovarono zia Martina che filava ancora, al buio. Ella s’accorse che il figlio era