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vede neppure per imprecare. Che c’è da mangiare? pietre?

— Ci son delle uova, ecco, e del lardo, figlio mio, abbi pazienza — disse zia Martina. — Sai che Costantino Ledda è stato condannato a trent’anni?

— A ventisette. Ebbene, queste uova? Quel lardo è rancido, mamma mia; perché non lo buttate alle galline? Alle galline! — ripetè, stringendo i bei denti per la stizza.

Zia Martina rispose tranquilla:

— Non ne mangiano. Sì, a ventisette anni. Ah, son lunghi ventisette anni! Io sognai che lo avevano condannato ai lavori forzati.

— Ci siete stata, voi, da quelle donne? Ah! adesso saranno contente del loro matrimonio, quelle immonde pezzenti, — egli disse furioso: ma appena la madre ebbe risposto che, sì, c’era stata, che Giovanna si disperava e si strappava i capelli; e che zia Bachisia le aveva fatto capire d’essersi pentita di non aver affogato la figlia prima di permetterle quel matrimonio, Brontu si arrabbiò.

— Perché ci andate, voi? Che avete voi da fare nella tana di quei pidocchi affamati?

— Ah, figlio mio, la carità cristiana tu non sai cosa sia! C’era anche prete Elias, questa mattina; sì, andò da loro per confortarle. Giovanna vuol portare il bambino a Nuoro perchè Costantino lo veda prima di partire; io osservavo che è una pazzia, con questo sole; ma prete Elias diceva di portarlo, e quasi si metteva a piangere.